Pnrr: cos'è?

Nel 2021, l’Unione Europea ha approvato la concessione di 191,5 miliardi di euro all’Italia, che a tale importo ha aggiunto 30,6 miliardi di euro attraverso un piano complementare, finanziato direttamente dallo Stato. Totale: 222,1 miliardi di euro, destinati a finanziare il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Le somme devono essere utilizzate entro cinque anni per progetti inerenti sei aree di investimento:

  •  innovazione
  •  transizione verde
  •  infrastrutture
  •  istruzione
  •  inclusione
  •  sanità.


In cambio, il Bel Paese era tenuto a rispettare una tabella di marcia che prevedeva complessivamente 27 obiettivi: 12 avrebbero dovuto essere raggiunti entro la fine di marzo 2022 e altri 15 entro il 30 giugno 2023.

 

Il problema è politico

Sono diverse le ragioni che spiegano la laboriosa attuazione del piano di ripresa italiano. Dall'agosto 2022, si sono manifestati ritardi nella selezione e nei bandi di gara dei progetti. Il primo comma del decreto-legge che istituisce il PNRR precisa che per una parte degli interventi sono competenti gli enti locali. La penisola, però, non ha le professionalità per realizzare le misure necessarie a mettere in moto la macchina amministrativa e, dunque, a rispettare le scadenze in tutte le regioni.
I motivi sono anche di carattere demografico: i dipendenti pubblici italiani hanno in media 50,7 anni. Sono molto più vecchi di quelli del Regno Unito o della Francia e 4 su 10 hanno lauree in giurisprudenza o in economia, poco utili per progetti volti a promuovere la digitalizzazione nelle scuole, a risolvere dissesti idrogeologici, a migliorare la raccolta differenziata e così via. Le professionalità ricercate sono, quindi, prevalentemente tecniche, vale a dire ingegneri o architetti, per i quali la bassa retribuzione e la precarietà rendono le posizioni poco appetibili.
C’è, poi, anche un altro problema politico: la classe dirigente locale, purtroppo, preferisce sostenere piccoli progetti che diano tanti voti, soprattutto nel Sud Italia, dove la maggior parte dei fondi è diretta a Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e dove la politica spesso opera con logiche clientelari.

 

Il difficile contesto

Anche il contesto generale non è dei migliori, innanzitutto a causa dell’inflazione (8,7% nel 2022): l’aumento dei costi di produzione priva le aziende dell’accesso alle gare d’appalto.
C'è anche di più: la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, deve affrontare una situazione molto complessa, a causa degli impegni elettorali nei confronti dei piccoli commercianti e degli artigiani. Perciò, il suo margine d'azione sul problema PNRR è ristretto. A fine marzo 2023, per tutti questi motivi, il governo italiano ha aperto ufficialmente la revisione del piano e la sua ridiscussione degli obiettivi con Bruxelles. Il fine è eliminare gli interventi che potrebbero rivelarsi irrealizzabili a causa di costi eccessivi o di prevedibili ritardi nei termini di attuazione.

A oggi, l’Italia conserva il poco invidiabile penultimo posto europeo in termini di capacità di assorbimento dei fondi del bilancio 2014-2020, con il ricorso a circa il 38% delle risorse effettivamente erogate dall’UE in questo periodo.

 

Pnrr: è davvero un fallimento?

 L'evidenza è sotto gli occhi di tutti: secondo l’ultimo rapporto della Corte dei Conti, in tre anni Roma ha speso solo il 6% dei 190 miliardi previsti entro il 2026. Dei circa 172mila progetti del Pnrr, appena l’1% è stato portato a termine. Il 65% sono principalmente di competenza dei comuni, il 60% dei quali ha meno di 5.000 abitanti e non dispone delle risorse tecniche e umane necessarie per realizzare in modo rapido ed efficace i progetti annunciati.
 

Misure anti-debacle

Ad aprile scorso è stato adottato un decreto che semplifica il lavoro delle amministrazioni e i bandi di gara nei cantieri. La presidenza del Consiglio si è sostituita al Ministero dell'Economia per centralizzare il processo decisionale e sono stati cancellati i progetti troppo complessi da realizzare, o meglio spostati nella lista di quelli che beneficiano dei fondi strutturali Ue 2021-2027.
Giorgia Meloni ha chiesto, inoltre, aiuto ai grandi gruppi, da Snam a Eni ed Enel, affinché affianchino l'esecutivo nella corsa all'ottenimento dei 9 miliardi di euro destinati all’Italia tramite REPowerEU, il piano che dovrebbe consentire all’Europa di sganciarsi dalla dipendenza russa, in materia di combustibili fossili, entro il 2030. Il problema, insomma, non sono più i soldi, ma il tempo e le competenze.